Francesca camminava lentamente per le strade di Firenze, i piedi che avanzavano quasi da soli. La giornata era stata interminabile: due riunioni, un litigio con un fornitore, e quei rapporti che aveva dovuto rifare perché il tirocinante aveva sbagliato tutto. Alla sera, la testa le pulsava e i pensieri si confondevano. Il suo unico desiderio era raggiungere casa, togliersi quelle scarpe scomode, farsi una doccia calda e sprofondare nel sonno.

Nella borsa, il telefono vibrò. Francesca lo tirò fuori con riluttanza, immaginando che fosse suo marito, Luca, che voleva sapere cosa preparare per cena. Ma lo schermo mostrava un numero sconosciuto. Di solito non rispondeva a chiamate anonime, ma qualcosa le suggerì di farlo.

“Pronto,” disse stancamente, continuando a camminare verso casa.

“Dove cazzo te ne vai, pecora? Siamo qui da un’ora sotto casa tua, moriamo di fame!” gracchiò una voce aspra dall’altro capo.

Francesca si bloccò di colpo, come inchiodata al marciapiede. La gente le passava accanto, affrettandosi verso i propri impegni, mentre lei rimaneva immobile, incapace di credere alle proprie orecchie. Quella voce—tagliente, con quel tono inconfondibile—apparteneva a zia Maria, la sorella della suocera.

“Scusi, cosa?” chiese Francesca, sperando di aver capito male.

“Sei sorda?!” ribatté la voce, irritata. “Siamo arrivati! Io, tua suocera e quel fannullone di Sandro. Aspettiamo qui da un’eternità. Hai dimenticato?”

Francesca aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare cosa potesse essersi scordata. Non c’era nessun compleanno, nessuna festa. Nessuno le aveva avvertito della visita.

“Zia Maria, mi dispiace, ma non sapevo del vostro arrivo,” rispose con cautela.

“Come, non sapevi?” esclamò la donna. “L’abbiamo deciso con Luca una settimana fa! Doveva dirtelo lui.”

Francesca sospirò profondamente. Eccolo lì, l’ennesimo “regalo” del marito. Luca aveva la brutta abitudine di “dimenticare” di comunicarle cose importanti, per evitare di prendersi responsabilità.

“Luca non mi ha detto nulla,” replicò con fermezza. “Sono ancora al lavoro, arriverò tra una quarantina di minuti.”

“Quaranta minuti?!” La voce di zia Maria era pura indignazione. “Siamo affamati, stanchi morti! Non puoi fare prima?”

Francesca sentì l’irritazione salirle dentro. Avevano deciso di presentarsi senza avvisare, le parlavano con quel tono, pretendevano che corresse a servirli… Le passò per la mente un pensiero fulmineo: “E se stasera avessi deciso di dormire a casa di un’amica? O fossi in viaggio?”

“Ascolti, non sapevo del vostro arrivo,” disse, mantenendo la calma. “Datemi il tempo di tornare.”

“Non abbiamo tempo da perdere!” sbuffò zia Maria. “Sandro sta per mangiarsi le mani dalla fame!”

Sandro, il cugino di Luca, un trentacinquenne che ancora viveva con la madre e non sapeva nemmeno scaldarsi un piatto di pasta.

“E Luca dov’è?” chiese Francesca, sentendo la rabbia montare.

“E che ne so? Non risponde. Probabilmente è impegnato,” rispose zia Maria con impazienza. “Allora, vieni o no?”

Francesca chiuse la chiamata senza salutare. Il cuore le batteva forte per l’indignazione. Provò a chiamare Luca. Lunghe suonate, poi la segreteria. Riattaccò e riprovò—stesso risultato. Conosceva bene quel trucco: Luca evitava di rispondere quando sapeva che sarebbe stato scomodo.

“Quindi sapeva tutto,” pensò. “E si è nascosto come un vigliacco, lasciandomi sola a gestire il casino come al solito.”

Il telefono squillò di nuovo. Questa volta, era la suocera, Anna.

“Franceschina, tesoro, quanto ci metti?” chiese con un tono dolce ma falso. “Stiamo morendo di freddo, e Maria è sul piede di guerra.”

“Anna, mi dispiace, ma non sapevo del vostro arrivo,” replicò Francesca, cercando di restare calma. “Luca non mi ha avvertita.”

“Davvero?” fece la suocera, fingendo sorpresa. “Lui ci aveva assicurato che ti aveva avvisato! Beh, può succedere. Su, sbrigati, cara. Maria quando ha fame diventa insopportabile.”

Francesca chiuse gli occhi, contando mentalmente fino a dieci. Tutto sempre uguale—pretendevano che lei corresse a sistemare una situazione che non aveva nemmeno creato.

“Anna, sto tornando, ma non aspettatevi che mi metta subito ai fornelli,” disse con fermezza. “Sono stanca, ho avuto una giornata pesante. Se avete fame, c’è una trattoria qui vicino.”

“Franceschina, ma che dici?” la voce della suocera si fece subito offesa. “Una trattoria? Siamo famiglia! E poi, sai che Sandro è allergico al cibo dei ristoranti.”

Francesca sorrise amaramente, ricordandosi di come Sandro, all’ultima cena, aveva divorato una pizza intera come se non mangiasse da giorni.

Capiva benissimo che i parenti di Luca erano abituati a farsi servire senza rispetto. Sopra i tetti di Firenze, le nuvole si addensavano minacciose, e la sola idea di quella tempesta imminente la stancava ancora di più.

Che cosa le toccava fare? Perché doveva correre a casa per servire persone che non avevano nemmeno avuto la cortesia di avvisare? Perché Luca si nascondeva invece di prendersi le sue responsabilità?

E se invece… no?

Francesca si girò e prese la direzione opposta a casa. Dietro l’angolo c’era una piccola osteria dove servivano una carbonara divina e un tiramisù che moriva dalla voglia di assaggiare. Aprì la porta con decisione e scelse un tavolo vicino alla finestra.

“Buonasera,” la cameriera le sorrise. “Desidera?”

“Una carbonara e un bicchiere di bianco,” rispose Francesca, realizzando all’improvviso quanto fosse affamata. “E un tiramisù, per favore.”

Appena ordinato, il telefono vibrò di nuovo—zia Maria. Ignorò la chiamata. Un minuto dopo, la suocera. Poi un messaggio di Luca: “Dove sei? Mamma dice che non rispondi. Sono sotto casa.”

Francesca rise a denti stretti. Ecco, il marito si era finalmente fatto vivo, quando aveva capito che la situazione si faceva scottante.

“Sono bloccata al lavoro, arriverò tardi,” rispose seccamente, mettendo il telefono in silenzioso.

La cameriera portò il vino. Francesca ne bevve un sorso e sentì la tensione sciogliersi un poco. Dopotutto, che male c’era se i parenti di Luca aspettavano un po’? O se avessero trovato una soluzione da soli? Il cielo non sarebbe caduto per questo.

Il telefono continuava a vibrare sul tavolo, ma Francesca lo spense del tutto. Per la prima volta da tanto tempo, provò una strana sensazione—un misto di colpa e libertà. Le tornarono in mente le parole di un’amica: “Ti carichi sempre dei problemi degli altri, che poi diventano i tuoi.”

Peccato che solo ora capisse quante volte aveva permesso che la trattassero così. Tutta quella corsa al primo richiamo, le scuse per gli errori degli altri, il bisogno di accontentare tutti… E per cosa? Per sentirsi chiamare “pecora” dalla zia di Luca?

La carbonara era incredE quella sera, mentre gustava il tiramisù sorseggiando il vino, Francesca capì che a volte dire di no era il modo migliore per farsi rispettare.


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