Oggi, nel mio diario, voglio raccontare una giornata che mi ha toccato profondamente. Valerio ha parcheggiato con cautela la sua auto nell’unico posto libero accanto all’ospedale infantile. Era incredibile quanto fosse affollato oggi, con le macchine che riempivano ogni spazio disponibile. Ogni giorno veniva qui, quasi come se fosse un lavoro: sistemava alcune questioni, si fermava nel suo caffè preferito per una tazza di caffè, e poi si affrettava verso la sua adorata figlia, per passare anche solo pochi minuti con lei. Già da alcuni mesi, la bambina era ricoverata in clinica.
I medici non riuscivano a spiegargli esattamente cosa stesse succedendo alla piccola. Valerio aveva consultato i migliori specialisti, ma tutti ripetevano la stessa cosa: il cervello agisce da solo, controllando tutto il resto. Questo lo frustava terribilmente.
“State solo nascondendo la vostra impotenza dietro a termini complicati!” aveva esclamato Valerio un giorno, non riuscendo a trattenere la sua rabbia.
I medici si limitavano a scrollare le spalle, abbassando lo sguardo.
“È il risultato di uno stress enorme. Il cervello crea barriere che non possiamo controllare,” cercava di spiegargli uno dei dottori.
“Non capisco niente! La mia bambina sta morendo davanti ai miei occhi, e voi dite che non c’è nulla da fare?! Ho denaro, sono disposto a tutto! Per Michela darò l’ultimo centesimo!”
“Qui i soldi non servono,” sospirò piano il dottore.
“E allora cosa potrà aiutare?! Ditemelo! Lo troverò, lo comprerò!”
“Non è qualcosa che si può comprare… Onestamente, non so come spiegarvi… Deve accadere qualcosa di speciale. Oppure, al contrario, non deve accadere nulla affinché il corpo… il cervello… possa ricollegarsi.”
“Ma cosa state dicendo?! Magari mi consigliate di rivolgermi a qualche guaritrice?” esplose Valerio.
Un medico anziano lo guardò attentamente.
“Se lo desidera, non vi opporrò. Ripeto: i metodi normali qui sono impotenti. Possiamo solo garantire pace, emozioni positive… e sostenere il corpo con medicinali. E vi dirò anche questo,” il dottore abbassò la voce, “se fossi in voi, lascerei Michela in ospedale. È già stata portata qui due volte in ambulanza. Capite, quando lei cade in quello stato, c’è il rischio di non arrivare in tempo. Qui, sotto sorveglianza continua, non accadrà.”
Valerio si prese la testa tra le mani. Aveva una paura tremenda di perdere sua moglie, sentiva che il momento potesse arrivare da un momento all’altro, e non riusciva a immaginare come avrebbe affrontato la sua perdita. Michela adorava sua madre, e lui… idolatrava entrambe. Ora doveva mettere da parte il suo dolore, concentrandosi sul salvataggio di sua figlia, anche lei di nome Michela.
Con sua sorpresa, la bambina reagì con calma al pensiero di restare a lungo in ospedale. Le accarezzò la guancia e sussurrò:
“Papà, non ti preoccupare così. Non piangerò, così tu potrai lavorare in tranquillità e non restare sempre a casa con me.”
Valerio non sapeva se rallegrarsi o piangere. Sua figlia di otto anni parlava con una saggezza che sembrava propria di un adulto.
“Fermatela! Uomo!” urlò improvvisamente una voce. Valerio sobbalzò e guardò verso il rumore. Una ragazzina correva verso l’ospedale, ansimante, inseguita da un’inserviente. Sembrava avesse rubato qualcosa. Mentre passava accanto all’auto di Valerio, gli lanciò uno sguardo terrorizzato.
“Signore… nemmeno un panino ha risparmiato a una bambina?” mormorò, uscendo dall’auto proprio mentre l’inserviente si avvicinava.
“Fermati! Perché gridi?”
“Te lo farò vedere io! Liberati dalla strada!”
L’inserviente notò Valerio e la sua auto.
“Devo prenderla! Ha rubato!”
“E che cosa ha rubato?” rise Valerio.
“Una bottiglia d’acqua e un panino… Chissà cosa ha anche in tasca!”
Valerio tirò fuori alcune banconote.
“Con questa somma di certo si potrà pagare e magari festeggiare il ritorno del rubato,” mormorò tra sé, seguendo con lo sguardo l’inserviente allontanarsi.
Dopo, Valerio si avviò verso l’ufficio del medico. Di solito, le loro conversazioni erano formali, ma oggi il dottore lo trattenne più a lungo.
“Valerio Vitale, ho una domanda per te… Oggi Michela ha chiesto se può parlare con altri bambini del reparto.”
“E che cosa significa?” chiese Valerio, allarmato, prendendo posto su una sedia.
“Secondo me, è un buon segno. Inizia a interessarsi a ciò che accade al di fuori della sua stanza. Tuttavia, non tutti i miei colleghi condividono questa opinione. Molti ritengono che dopo una lunga isolamento, socializzare subito con tanti bambini potrebbe essere troppo pesante per la sua psiche. Non posso confutare questo argomento, anche se non sono completamente d’accordo. Devi riflettere, parlare con Michela e prendere una decisione – se le permetterai di farlo o meno.”
“Chiaro, mi volete scaricare l’onere della responsabilità di nuovo,” sospirò Valerio.
Il dottore si tolse gli occhiali, li pulì e sospirò a sua volta.
“Sì, hai ragione. Vogliamo ardentemente che tua figlia guarisca, ma… comprendiamo che se succede qualcosa, ci schiaccerai.”
Valerio si alzò e si diresse verso l’uscita, ma si fermò sulla porta.
“Grazie per la sincerità. Forse hai ragione. Parlerò con mia figlia.”
Gli sembrò che il medico tirasse un sospiro di sollievo. Prima di entrare nella stanza, Valerio provò a distendere le labbra in un sorriso. Non poteva entrare da Michela con un’espressione cupa. Ma per quanto ci provasse, il sorriso era forzato. Ora avrebbe visto la sua piccola, che negli ultimi tempi era rimasta quasi sempre a letto, e non riusciva a mangiare – non perché non volesse, ma perché il corpo rifiutava il cibo.
La porta si aprì lentamente, e Michela girò la testa. Inizialmente lo guardò spaventata, come se non riconoscesse il padre, e poi si illuminò con un sorriso:
“Ciao, papà!”
Gli sembrò di notare un leggero rossore sulle sue guance.
“Come ti senti?”
“Normalmente.”
Valerio fu colto da una strana sensazione, quasi come se la figlia volesse che se ne andasse in fretta. Ma non era possibile – oltre alle infermiere e agli educatori assegnati alle stanze VIP, non vedeva nessuno. Si sedette su una sedia accanto al letto e cominciò a tirare fuori delle prelibatezze.
“Mi sono fermato al negozio… Guarda che belle mele!”
“A, sì, papà. Grazie,” rispose Michela a bassa voce.
La mano di Valerio rimase sospesa sopra il tavolino. C’erano piatti – era stata appena servita la cena. Ma ciò che lo colpì di più fu un’altra cosa: i piatti erano completamente vuoti.
“Michela, cosa sta succedendo qui?”
La bambina sospirò e disse verso il nulla:
“Esci, non avere paura. Ho un papà buono.”
E a quel punto Valerio vide una ragazza emergere dalla tenda – proprio quella che era corsa accanto alla sua auto. La bambina lo guardava spaventata, e Michela iniziò a parlare:
“Papà, per favore, non scacciarla! Ti prego! Dividerò una mela con Caterina. Dove andrà? Non ha nessuno, e fuori fa freddo e buio, e aveva fame e paura…”
Valerio guardò stupefatto sua figlia. Era seduta nel letto, mordendosi le labbra, e le sue guance erano traditrici nel loro arrossamento. Si voltò verso la ragazza, che sembrava più grande di Michela, forse di un anno o due.
“Sei Caterina?” le domandò.
La ragazza annuì.
“Mi chiamo Valerio Vitale, sono il papà di Michela.”
Caterina annuì di nuovo, e poi chiese timidamene:
“Sei davvero Michela? Che bel nome!”
La figlia sorrise debolmente.
“No, io sono Maria. Ma mamma mi chiamava Michela, e io rispondevo sempre…”
“Oh, giusto… mamma non c’è più,” sospirò Caterina. “Neanch’io ho mia madre, ma è stato così tanto tempo fa che non la ricordo affatto.”
Valerio osservò in silenzio come le due ragazze trovassero il loro punto d’incontro. Caterina si sistemò sul bordo del letto, prima tirando indietro le coperte in modo da non sporcare il letto con i suoi vestiti stracciati. “Che brutta impressione,” pensò, mentre affettava la mela. Porse un pezzo a Michela e a Caterina. Le ragazze lo presero, continuando a bisbigliare tra loro. Valerio sorrise involontariamente.
“Vedo che avete molto di cui parlare.”
La figlia lo guardò supplicante.
“Papà, per favore, lascia che Caterina resti! Può sedersi lì, sul divano. E noi possiamo chiacchierare ancora un po’.”
Valerio rifletté. La ragazza sembrava innocua, ma chi sa che cosa potrebbe succedere.
“Ascolta, Caterina, nel armadio ci sono vestiti di Michela. Prenditi tutto ciò di cui hai bisogno e corre a farti una doccia! E assicurati di uscirne come si deve. E dirò al medico che una sorella di Michela è venuta a farle visita e resterà per la notte. Ma solo stai attenta!”
Michela applaudì gioiosamente.
“Grazie, papà!”
Caterina corse rapidamente verso l’armadio, lo aprì con cautela e rimase stupita. Prese dei pantaloni leggeri e una maglietta. “Sarò veloce!” esclamò e scomparve dietro la porta del bagno.
Quando la porta si chiuse dietro di Caterina, Valerio si girò verso la figlia.
“Allora, come stai, piccola?”
“Papà, oggi era così noioso! Avrei voluto piangere. Ho chiesto di altre bambine, ma il dottore ha detto che aveva bisogno del tuo permesso. Poi, ho fatto entrare Caterina dalla finestra… puoi immaginare? La finestra era così alta!”
“Beh… Sei sicura di volerla?”
“Certo! Quando te ne vai, per favore chiedi di portarci del tè dolce e caldo.”
Le sopracciglia di Valerio si alzarono sorprese. Annui. Dobbiamo trovare un modo per sistemare il soggiorno di Caterina. Perfino pagò per una stanza VIP. Il dottore scosse la testa.
“Non so… Certo, tu sei il genitore qui, ma sappi che…”
“Ho capito. Arriverò domani a colazione. Michela ha chiesto tè dolce e caldo… due tazze. Chi devo pregare?”
Il medico lo guardò sorpreso.
“Due? Per la ragazza e per te?”
“Esattamente.”
“Disporrò subito… Sapete, chi si salva, Dio lo salva.”
“Cosa intendi dire?”
“Non dico nulla per ora. Vediamo come va domani. Allora ne parleremo.”
Valerio sentiva che qualcosa era cambiato in Michela oggi. Ma se si trattava di qualcosa di buono o di cattivo, non riusciva a capire. Durante la notte, dormì male, svegliandosi più volte. Infine, chiamò il dottore di turno, Michele Pirelli.
“Scusa per l’ora tarda.”
“Nessun problema. Onestamente, mi aspettavo la tua chiamata prima. Tutto a posto. Hanno chiacchierato fino a mezzanotte, fino a quando Alina non le ha separate. Ora dormono. La pressione di Michela è regolare, niente picchi. Ha bevuto il suo tè da sola.”
“Grazie, Michele Pirelli,” esclamò Valerio, tirando un sospiro di sollievo e subito ricadendo in un sonno inquieto.
In ospedale c’era un odore caratteristico: di pappa di latte e qualcosa di indefinibile che apparteneva all’infanzia. Valerio si aprì la strada tra i piccoli pazienti che si affrettavano nel corridoio. Era incredibile, ma quelli che si muovevano con le stampelle non erano affatto più lenti di quelli che avevano solo una benda sulla testa.
Finalmente arrivato nella stanza di Michela, sospirò di sollievo. Stava per aprire la porta quando si aprì improvvisamente. Sulla soglia c’era Alina, l’infermiera che si occupava di Michela. Questa giovane donna dal cuore gentile aveva sempre ispirato fiducia. Guardò Valerio, asciugandosi di nascosto le lacrime, e disse piano:
“Non sei solo un padre… Sei il migliore padre. Nessuno avrebbe indovinato che fosse proprio questo di cui lei aveva bisogno.”
Con queste parole, Alina se ne andò, e Valerio, sbalordito, la guardò allontanarsi. “Vediamo comeandre tutto adesso,” pensò e si fermò sulla soglia. Le ragazze non si accorsero di lui. Come avrebbero potuto, se tutta la loro attenzione era rivolta allo schermo della televisione dove un cartone animato mostrava un topo che derideva un gatto?
Erano sedute sul letto, con le gambe incrociate, e ognuna aveva un piatto di pappa. Mangiando con entrambe le guance, scoppiavano a ridere, e la pappa usciva periodicamente dai piatti. I vestiti di Michela erano sicuramente piccoli per Caterina – doveva pensare a qualcosa.
Valerio osservava attentamente sua figlia. Prese un cucchiaio di pappa, lo portò alla bocca – e nulla successe! Michela ingoiò tranquillamente e continuò a ridere per il cartone.
Caterina notò per prima la sua presenza. Dando una leggera spinta all’amica col gomito, indicò Valerio. Michela si girò. Valerio non poté trattenere un sospiro stupito. Solo il giorno prima il suo sguardo era vuoto, come se non volesse vedere o sentire nulla intorno a lei. E oggi davanti a lui c’era una bambina viva e allegra… anche se provata.
“Papà!” esclamò felicemente Michela.
Si avvicinò silenziosamente al letto e abbracciò prima la figlia, poi Caterina. Sì, era pronto a fare qualsiasi cosa per questa bambina sconosciuta. Ma proprio in quel momento, Caterina singhiozzò. Valerio si preoccupò.
“Scusa, ti ho fatto male? Ho stringato troppo?”
Caterina scosse la testa, mentre Michela afferrava decisamente la mano dell’amica e guardava il padre con uno sguardo severo.
“Papà, non farle più male!” dichiarò.
Valerio annuì in fretta. Caterina asciugò le lacrime e sussurrò piano:
“Non è per questo… È solo che nessuno mi abbracciava da tanto tempo.”
Settimana dopo, Valerio portò a casa sua figlia. Per tutto quel tempo, Caterina era stata al suo fianco. Michela aveva ripreso forze, correva per i corridoi con gli altri bambini e chiacchierava vivacemente. Mentre i medici, sorpresi dal “fenomenale” recupero della bambina, conducevano il suo completo esame, Valerio si dedicava a Caterina.
La madre di Caterina era scomparsa quando la bambina aveva appena due anni. Nessuno sapeva dove fosse finita, ma tutti credevano che non fosse più in vita. Non aveva di certo condotto una vita serena. Dopo la sua scomparsa, Caterina era rimasta con la nonna, ma quest’ultima era deceduta sei mesi fa. La bambina era stata mandata in un orfanotrofio, dove aveva avuto un conflitto con una delle educatrici. Quella sollevò la mano verso di lei, e Caterina scappò. Questa era tutta la sua triste storia.
Quando Valerio tornò a prendere Michela, Caterina aveva già raccolto le sue poche cose. Si alzò, strinse forte la sua amica e poi guardò timidamente Valerio.
“Grazie… credo che andrò…”
“E dove pensi di andare?” le chiese.
I loro sguardi si incrociarono.
“Forse all’orfanotrofio. Fuori ora fa freddo.”
Valerio si concentrò, riflettendo:
“Quindi ho sprecato tempo a creare una stanza vicino a Michela? Non… non vuoi diventare sua sorella?” propose cautamente.
Fu Michela a urlare per la felicità, lanciandosi al collo del padre. Seguita da Caterina, che singhiozzando lo abbracciò. Quando uscirono dall’ospedale, tutte le infermiere riunite per salutarli piangevano. Ma Valerio vide solamente Alina e il suo sguardo gentile e comprensivo.
E sei mesi dopo, non si sarebbe più potuto immaginare la sua vita senza Caterina. Come le sorelle di nome Michela e Caterina, non avrebbero potuto più vivere l’una senza l’altra.
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